venerdì 5 dicembre 2008

Rosso Rubino

Aveva tutto quello che un uomo può desiderare: bellezza, potere, denaro. Faceva la vita che ogni maledetto salariato del pianeta desidera. Jet set e compagnia bella, con annessi e connessi, donne da sogno e viaggi da favola.
E come ogni ricco dalla vita da favola si annoiava. In fondo è una storia vecchia come il mondo, quella del giovane principino annoiato che decide di dedicarsi al peggio della vita. Succedeva già coi giovani nobili spartani che andavano a massacrare gli iloti, l’hanno fatto alcuni imperatori romani e i re cristiani non erano da meno. Come si suol dire, niente di nuovo sotto al sole.

Bello come il sole e disinvolto, un vero cavaliere. Certo finché il suo interesse durava, una volta finita la caccia… come dire il suo interesse scemava ed il suo comportamento cambiava radicalmente. Potremmo dire che, in un certo qual modo, iniziava un altro tipo di caccia.
Una caccia fatta di sparizioni e ricomparse rapide. Di giochetti manipolatori. Di richieste crudeli. Insomma si dedicava con passione alla creazione ed alla manipolazione di dipendenze psicologiche. E’ così facile far del male a coloro che ci amano e lui lo sapeva bene.

Purtroppo, dopo qualche anno, anche questo finì per annoiarlo. Tutto ciò cui si era dedicato prima o poi aveva finito per annoiarlo. Spesso più prima che poi.

Cosa resta dopo che i sentimenti ed i giochi che con essi puoi fare esauriscono la loro carica ludica? La violenza, il terrore, l'ultima e suprema forma di potere: l'annientamento di un altro essere umano. Ci fantasticò sopra a lungo senza passare all'azione, per quanto seducente la violenza gratuita non è socialmente considerata come cosa gradita.
Alla fine si trovò iniziò a crearsi molte giustificazioni altamente pseudo-morali che facessero al caso suo. La politica e la religione ne offrono sempre molte: dio, la patria, la famiglia, la difesa delle tue tradizioni, della tua razza. No, no, non è un refuso: il Dio del cielo, non c’entra nulla col dio di politicanti e ipocriti vari. Gruppi interessanti da quel punto di vista ce ne erano a non finire: dal leggere tutto quell'inneggiare all’odio, alla violenza ed alla forza all’unirsi ad un gruppo il passo fu breve. Ora, si diceva, non solo aveva una giustificazione agli occhi del mondo ed ai suoi, adesso stava combattendo per una giusta causa, stava proteggendo il suo paese dalla barbarie e dalla decadenza.
Si sentiva importante, forte, si sentiva immenso nell’illusione di far parte di qualcosa di glorioso. Ma soprattutto si sentiva un dio con una spranga in mano, quando coi suoi fratelli circondava uno di quei fottuti culattoni o di quei dannati bingo bongo. Avevano il potere, il totale dominio su quella feccia. Erano aldilà della legge con tutti i loro soldi. Aldilà del bene e del male mentre ripulivano il mondo. Poco importava se magari qualche slavo non era slavo o se qualche culo non era culo, se frequentavano certa gente non dovevano valere poi molto.

Quella sera non erano nemmeno usciti in caccia, volevano solo andarsi a fare una birra. Pensavano di farsi serata tranquilla, tranquilla. Ma l’occasione, si sa, fa l’uomo ladro.
Il nostro principino e due amici stavano percorrendo un tratto di strada a piedi; per poter raggiungere il loro pub del cuore che, per un’involontaria ironia del gestore, si chiamava “Simposio”. Il locale si trovava alle colonne di San Lorenzo, vicino a corso di Porta Ticinese. Era una delle zone più vecchie e belle di Milano. O almeno, a sentire i nostri eroi, bella lo era prima che tutti quei cazzo di extracomunitari venissero a starci con la loro merda al seguito. Si erano appropriati di tutto, erano proprio senza decenza, li potevi vedere stravaccati a grappoli. Ammassati ad ubriacarsi persino sugli scalini della basilica, un vero gioiello di storia sacra e loro riuscivano solo a lordarla con le loro bottiglie di birra vuote ed i loro mozziconi.
In ogni caso quella notte erano abbastanza di buon umore; in quelle settimane gli stava andando alla grande coi reclutamenti, sembrava quasi che finalmente gli italiani stessero aprendo gli occhi. Era una soddisfazione vedere tanta gente disposta a combattere per difendere i veri valori ed erano usciti per festeggiare, la serata era guastata solo dalla consapevolezza che quella sera, a meno di trecento metri dal loro sancta sanctorum alcolico, sarebbe stato inaugurato un locale che non gli andava molto a genio. Passi il ristorante cinese, passi anche quello indiano, ma un locale per finocchi nel loro territorio proprio non lo digerivano.

Ad ogni modo cercarono di non pensarci, almeno per i primi cinque minuti, e si affrettarono a raggiungere i loro camerati all’interno del pub.
La serata trascorse piacevolmente. L’alcol scorreva abbondante, la musica degli Screw Driver (*) a tutto volume, l’atmosfera densa di fumo e le chiacchiere fra amici fanno volare il tempo. Soprattutto quando è un dialogo fra persone che si danno sempre ragione a vicenda. I nostri tre eroi iniziarono a parlare con alcuni amici dell’indegno locale. Avreste dovuto vedere in che modo si “caricavano a vicenda”, in un graduale avvelenamento da testosterone e adrenalina. Tutti i presenti poterono assistere ad una sorta di comizio para-elettorale a cinque voci.

“ Non riuscirò mai a capire” attacco il nostro prode “come si possa anche solo pensare di approvare il matrimonio fra culi.”.
Scolata di birra.
“Hai ragione, sono tutte cazzate” rispose un amico.
“Cioè, madre natura, ha fatto gli uomini e le donne per fare i figli, non i finocchi. Che senso ha fare sposare due malati di mente che non potranno mai fare figli!”
Altra scolata di birra, rutto, grattata, ri-rutto.
“Eh già! Perché non legalizziamo la poligamia per i bingo bongo allora?” rincarò un altro avventore in vena di sapienza etilica.
“Cioè qualcuno... hic!... mi vuole spiegare come si può chiamare famiglia una cosa fatta da due invertiti, che nel migliore dei casi dovrebbero stare in manicomio?”
“A quelli non gliene fotte un cazzo di mandare il paese a puttane! Anzi è quello che vogliono, così potranno obbligarci a vivere a modo loro! Hic!”
“Eh si” attacco un altro “bisogna essere multiculturali! Poverini, hanno diritto alle loro cazzo di tradizioni! Eh si siamo noi che ci dobbiamo adattare! Donne! Tutte con il burqa e gli uomini tutti col culo all'aria a farsi inchiappettare da Allah!”
Ennesima scolata, capogiro, di corsa al cesso a vomitare, epica fine del comizio.

Fu in questo stato mentale che i nostri tre amici uscirono, ma più che altro furono sbattuti fuori, dal pub verso le due di notte e si incamminarono nella penombra della strada. Mentre procedevano barcollando vistosamente, il nostro piccolo principe, gettò un’occhiata verso l’ingresso di quella Sodoma e Gomorra bonsai e cosa vide?
Un ragazzo era fermo davanti all'ingresso, si stava accendendo una sigaretta. I nostri tre lo squadrarono con tutta l'attenzione di cui era capaci in quell'alcolico frangente. Ai loro occhi aveva un'aria da checca lontano tre chilometri, teneva la sigaretta come lo farebbe un vamp anni venti, ed oltretutto aveva anche un marcata colorazione ambrata della pelle. Finocchio e mulatto, cosa poteva esserci di peggio per i nostri tre cavalieri del reich?

Come dicevo, l’occasione fa l’uomo ladro e quale occasione migliore per loro? Iniziarono goffamente a seguire la loro preda. Malgrado il frastuono di tre ubriachi, il femminiello camminava tranquillo per la sua strada, apparentemente ignaro di chi aveva alle calcagna. Si fecero a piedi un bel pezzo di Corso Porta ticinese, coi suoi bei palazzi del sette-ottocento e la pavimentazione di pietra, ma sembrava che ci fosse sempre qualche passante fra i piedi. Il ragazzo svoltò in Via Santa Croce, proprio accanto alla Basilica di Sant'Eustorgio ed il suo parco cintato, poi svoltò in un vicolo sulla sinistra.

“Cazzo” sbotto uno dei due amigos “sto vicolo da dove cazzo salta fuori?”
“E' solo che sei troppo ubriaco perfino riconoscere i tuoi piedi” replico il principino “ e vedi di chiudere la fogna che se no ci sente”
“Sarà!” sussurrò guardandosi attorno confuso “forse dovremmo andarcene a casa”
“Chiudi il becco! Coglione!”

Il culattone girò in un altro vicolo ed iniziò a percorre un dedalo di viuzze secondarie, tallonato dai suoi rumorosi inseguitori. I nostri tre iniziarono a perdere progressivamente l'orientamento, i vicoletti di Milano sono una vera ragnatela, soprattutto quando ci si inoltra nei dedali che stanno dietro agli scintillanti corsi principali. E' facile perdersi e trovarsi dove meno ce lo si aspetta, lontani dalle luci scintillanti di Piazza Duomo o del Castello Sforzesco.
Mano a mano che si inoltravano in questa zona mai vista prima della città, sembrava che la luce si offuscasse progressivamente. Come se i lampioni venissero man mano eclissati da una coltre di nebbia che diventava sempre più fitta. “Accidenti” si disse il principino “non sapevo che ci fossero zone così buie in città”.
La loro preda ormai li aveva condotti in un territorio a loro sconosciuto, non avevano mai visto vicoli così stretti, circondati di muri così alti. Anche i lampioni erano ormai scomparsi, la poca luce residua sembrava venire da un cielo rossastro e malato, appena visibile al di sopra delle mura dei vicoli. Certo quello che i nostri amici non notarono fu la completa assenza di cavi di collegamento elettrico o tubi di scolo. Quel posto sembrava quasi la cattiva imitazione di una rete di vicoli, fatta da un alieno un miope e un po' ritardato. Ma l'alcol, si sa, non ha certo la tendenza a migliorare le percezioni umane.

Per quanto affrettassero il passo sembrava che la loro preda restasse sempre alla stessa distanza. C'erano sempre quei quindici metri a dividerli. Anche se non potevano vederlo in faccia avevano la certezza che quel maledetto si stesse prendendo gioco di loro, come se le sue spalle se la stessero ridendo sotto i baffi, così accelerarono un'altra volta il passo. La preda con fluida agilità scartò in un passaggio sulla sinistra e quando il nostro terzetto vi giunse… nulla! Sembrava essersi volatilizzato. Puf! Sparito!

Si guardarono intorno sperando di trovare qualche traccia, ma sembrava quasi si fosse dissolto nel nulla. Sembrava che fosse stato inghiottito dall'ombra della notte.
E poi, d’improvviso una risata alla loro destra, in un altro meandro. Resi ciechi dalla rabbia si gettarono avanti, ma anche li trovarono solo il nulla e poi un rumore di passi più in avanti sulla sinistra.
Poi ancora a destra e poi più in avanti, quella voce che li derideva.
“Avanti bambini, che c'è? Avete paura?” disse una voce ironica.
Si buttarono in direzione della voce con la carica di tutta la loro rabbia; avanti, avanti, sempre più avanti, senza notare che ora nei muri non si apriva più nemmeno una porta.
Quella voce continuava a schernirli, implacabilmente, riuscendo far scattare tutti gli interruttori della loro insensata rabbia. Sembrava spostarsi di qua e di là, un attimo era davanti a loro e subito dopo alle loro spalle o di lato. Continuarono a correre per quel dedalo che diventava sempre più buio, mentre la loro preda li scherniva facendo sentire la sua voce dappertutto o apparendo per un breve istante prima di eclissarsi nell'oscurità.

Proseguirono la loro folle caccia per un bel po’ prima di crollare letteralmente per la stanchezza. Fu a quel punto, mentre giacevano semi sdraiati per terra a riprende fiato, che il principino iniziò a notare che c’era qualcosa di veramente strano attorno a loro.
Il cielo non somigliava neppure vagamente a ciò che conoscevano, era un’ebollizione color rubino scuro: lenta, sinuosa, pulsante di una sua incomprensibile e sibilante vitalità. I muri si alzavano attorno a loro lisci,candidi e caldi al tatto, screziati solo dalle ombre dei loro simili. Non una porta si apriva in quella pietra tiepida, non una finestra, non un balcone interrompeva quelle superfici piatte. Niente di niente, solo quei muri bianchi e troppo lisci per poter essere scalati. Infinite pareti candide senza appigli, come quelle di un labirinto per topi.
Le ombre danzavano attorno a loro come agitate da un vento, ombre proiettate da corpi assenti. Sembrava che sui muri danzassero le sagome d’ombra di alberi, persone, animali, ma niente e nessuno si muoveva nella quiete del dedalo. Nemmeno un sibilo di vento, solo i loro respiri affannosi rompevano quel silenzio innaturale.

I nostri tre giovani si guardarono a vicenda, scoprendo come in ognuno di loro il terrore stesse velocemente montando come un’onda di alta marea. Si alzarono e cercarono di tornare sui loro passi, ma niente sembrava familiare. I passaggi di quella maledetta ragnatela erano tutti uguali. Muri lisci e caldi, che sembravano salire fino al cielo in urlo pietrificato. Passaggi che giravano e rigiravano, che si incrociavano entrando uno nell’altro, portandoli in giro in una folle spirale, mentre la luce diminuiva sempre di più.
Alla fine non restò che un timido bagliore rosso, che sembrava pennellare i pochi spazi ancora illuminati con il colore del sangue appena versato.
Le ombre attorno a loro iniziarono a mormorare e ridere, in una cacofonia di sussurri derisori e famelici, come una sinfonia folle suonata in sordina. L'oscurità si addensò nel passaggio alle loro spalle, fino a prendere una consistenza fisica, ribollente e aliena. Colava nel passaggio ostruendolo ed avanzando con cieca velocità verso i nostri tre amici.

“ Vi prenderemo! ”
“Non si scappa questa volta!”
“Venite, venite a giocaaareeee!” sibilavano innumerevoli voci nell'oscurità.

Iniziarono a correre con tutta l'energia che furono capaci di trovare nei loro corpi, alla cieca. Ogni passaggio sembrava identico al precedente, egualmente lungo e letale. Correvano, mentre lo sciabordio di quella tenebra viva si avvicinava sempre di più, sempre di più, con una determinazione assassina talmente intensa da poter quasi essere toccata con mano. Così intensa da stappar loro il respiro.

“Abbiamo fame questa notte! Tanta Fame!”
“Si, tanta, ma questa sera c'è un banchetto! Oh, si!”
“Eh! Già si vede raramente un simile alveare di succosa nequizia da mangiare!”
Le voci continuavano il loro folle interloquire in mezzo allo sciabordio delle tenebre ed alle urla spaventate delle loro prede.

D’improvviso la folle corsa di uno degli amici del principio si interruppe. Inciampò in qualcosa che non poteva vedere e cadde pesantemente. L’altro camerata si fermò per aiutarlo a rialzarsi ed aiutarlo a scappare. Aveva una caviglia slogata, anche con l’aiuto del suo amico era troppo lento. Erano entrambi troppo lenti.

“Ahhh! Dolci i frutti della terra!”
“Così morbidi e caldi!”
“Si e succosi, non dimenticarlo”.

Guardarono il loro amico, il loro leader, correre via da loro, abbandonarli, mentre sentivano le ombre ribollire alle loro spalle. Cercarono di affrettare il passo, ma l’oscurità fu più veloce e calò su di loro come un fulmine improvviso. Veloce come un falco in picchiata.

Il piccolo principe non pensò a nulla, continuò a correre. Non gliene importava un bel niente dei suoi camerati. “Meglio loro che me” pensava, sperando che quelle tenebre vive potessero saziarsi e lasciarlo andare. Continuò a pensare in questo modo ed a correre anche quando udì le urla stanzianti dei suoi ormai ex amici. Urla che rimbalzavano contro le pareti in ripetizioni infinite, mescolandosi oscenamente con le farneticazioni di quella misteriosa oscurità.

“Cori piccolo vigliacco! Corri!!”
“Aaaiuuuutaaaciii! Aaaaaaaaaahhhh!”
“Maggiore l'adrenalina, migliore il sapore!! Non lo sapevi?”
“Non lasciarci quiiiiiiiiiii!”
“Guardatelo! Guardatelo! Guardate quanto è debole! Ah!Ah!Ah!”
“No!No! Aiutaciiiiii!”


Le ombre lo deridevano mentre correva. Poteva sentire il respiro di quelle cose alle sue spalle, sulla pelle del collo, come la carezza di un angelo malato. Corse sulle ali della disperazione, con nelle orecchie gli echi delle urla dei suoi amici e lo sciacquio di quelle ombre senzienti, mentre ogni tanto qualcosa sfiorava la sua schiena spingendolo a correre più forte. Continuò a correre, pregando un dio assente e sperando di svegliarsi da quell'incubo. Implorando per una salvezza inesistente.
Alla fine giunse ad un vicolo cieco e dovette fermarsi con le spalle al muro. In un patetico tentativo di scacciare l’oscurità accese il suo accendino. Illudendosi che quella fioca luce tremolante potesse ricacciare le tenebre là da dov’erano venute.

“Dove fuggirai ora che il denaro non ti può più comprare la legge?”
“Dove scapperai ora che noi siamo la legge?”
“Sui dai, diccelo! “

Le ombre ribollenti si fermarono a pochi metri da lui sussurrando. Sembravano osservarlo, guardarlo dall’alto, mentre scivolava in terra chiedendo pietà e invocando Dio, come tante volte avevano fatto le sue prede.
Ad un certo punto iniziò ad intravedere qualcosa in quel nero ribollire, sagome vaghe, di cui solo il rosso bagliore degli occhi era chiaramente visibile. Un colore selvaggio, indomabile, il colore del fuoco delle antiche pire sacre. Questi frammenti di fiamma sembravano muoversi attorno con fluida, languida e deliberata lentezza, circondati da uno scuro involucro che si intuiva come solo vagamente antropomorfo. Lui non riusciva a vederli mai veramente bene, a capire cosa fossero. Nessun libro di vampiri, nessun film di fantasmi, nessun demone della bibbia, non somigliavano a niente che lui conoscesse. Erano sconosciuti che gli davano la caccia per motivi che lui non capiva. Che non voleva capire. Erano l'ultima corte di giudizio, là dove anche la pietà di Dio deve fermarsi e farsi spettatrice.
Le tenebre avanzarono con un sibilo, circondandolo da ogni lato.

“Dicci, bel bambino, ti piace la tua stessa medicina?”
“Lo trovi ancora così divertente, dilettante?”

Le tenebre si strinsero sempre di più ed alla fine, con un leggero scatto, furono su di lui. Il piccolo principe non riusciva a spiegarsi quello che sentiva. Aveva un freddo ed un caldo tremendo allo stesso tempo, sentiva come una specie di corrente lenta che si muoveva in cerchio attorno a lui, in una specie di danza misterica. Iniziò nuovamente a implorare, supplicare quelle cose perché lo lasciassero in pace, affinché non uccidessero un innocente. Piangeva.

“Tu stesso sei l'artefice della tua caduta.”
“Niente e nessuno ti ha condotto qui se non la tua fame”
“Dov'è il problema?”
“E' vero. Lo dicevi anche tu: gli esseri superiori dominano quelli inferiori!”
“Non avrai mica cambiato idea, ora?”


I bagliori di fuoco gli si fecero sotto; iniziarono a toccarlo lentamente, dolcemente. Gli si premettero addosso strusciandosi e gli chiusero gli occhi, mentre con dita agili facevano sparire i suoi vestiti. Con lentezza esasperante esplorarono ogni centimetro del suo corpo, sensualmente, con le mani e con la lingua. Lui era confuso, stordito, paralizzato, da quel cambio così repentino di atteggiamento. Mano a mano che quelle cose continuavano a toccarlo, scoprendo zone sensibili ignote persino a lui, il principino cominciò a rilassarsi. Era una sensazione eccitante ed ipnotica allo stesso tempo, come si dice lo fosse quella che dava il mangiare fiori di loto. Intossicante e travolgente. Lo stuzzicavano abilmente, lo sfioravano con mani d'angelo. Era come cadere lentamente verso il cielo, come annegare senza dolore.
Mentre stava raggiungendo il climax colpirono. Le unghie di quegli esseri penetrarono nella sua carne con ferocia, stappando la sua pelle brandello dopo brandello, brano dopo brano. Sentì i loro denti affondare, tirare e rigirare i brandelli per staccarli con più facilità. Un poco alla volta sempre più a fondo, senza fretta. Lì senti gettare alcuni brandelli delle sue cosce più in là, a qualcos'altro che vagava affamato e inquieto in quelle tenebre. Li sentì ridere e cantare mentre si bagnavano del suo sangue e masticavano la sua viva carne, affondando i loro visi nel suo corpo. Mentre usavano i suoi stessi fluidi per dipingere strani simboli sul suo corpo e si saziavano della sua carne. Sentì le loro mani penetrare in quella parte non materiale del suo essere, quella in cui non aveva mai veramente creduto. Li sentì iniziare a graffiare e staccare anche da lì, con una sensazione che era un’epifania di dolore e piacere mischiati. Li sentì iniziare a mangiare anche quello, il suo spirito. Anche lì strappavano con le mani e con i denti, ridendo.

“Sei stato una preda facile, così facile da non credersi.”
“Facile, ma saporito!”
Gli sussurravano nell'orecchio.

I bagliori di tenebre ridevano, mentre affondavano le mani in quel corpo caldo, spegnendone la vita, attingendo al suo rosso rubino nuova vita. Con la lenta ferocia di chi ha l'eternità a disposizione, mangiarono il piccolo umano che era stato condotto lì dalla sua stupidità. La voce del piccolo principe si spezzo poco prima che il suo cuore si fermasse. Non ci sarebbe stato ritorno per lui, le ombre non avrebbero permesso ad un essere così debole di tornare, cosi morsero, dilaniarono e strapparono fino a non lasciare più nulla della sua anima o del suo corpo. Continuarono a divorare fino a far sparire tutto.

Con un sorriso soddisfatto le tenebre andarono a dormire.






(*) Gli Screw Driver sono un gruppo ska di estrema destra.

lunedì 9 giugno 2008

DRM Killer - capitolo 1

DEBUNKER CITY, VIA DELLE SCIECOMICHE, CASA DI USA-FREE:

Usa-free si stiracchiò pigramente, cercando di rimandare l'odioso momento del risveglio. Detestava alzarsi presto, ma quel giorno aveva dovuto svegliarsi alle 13.00 per non predersi la replica di Star Trek. Cosa non si fa per il capitano Picard! Persino alzarsi all'alba!!
Inforcate coraggiosamente le sue ciabatte a forma di Super Pippo si avviò verso la cucina per prepararsi una colazioncina leggera, gli avanzi del capitone impanato di mamma sarebbero stati perfetti.
Mentre avanzava verso il salotto cercò di passarsi una mano fra i capelli per grattarsi la testa, ma il sonno agitato gli aveva lasciato la capigliatura simile ad un porcospino idrofobico. In effetti aveva fatto dei sogni molto strani, inquietanti. Aveva sognato di trovarsi in un'immensa stanza bianca, piena di gigantesche api che con i loro pungiglioni bucavano i muri, emettendo un rumore identico a quello di un Black & Decker a piena potenza.
“Marò quanto sono fesso! A farmi seghe mentali sulle api!” si disse scacciando l'inquietudine, pregustandosi una mattinata a base di capitone e telefilm anni '90, sorridendo all'idea delle avventure che si sarebbe goduto.
Completamente immerso nelle sue fantasticherie iniziò ad attraversare il soggiorno, senza rendersi conto della realtà che lo circondava.

CRAK!!

L'improvviso rumore di un coccio di vetro calpestato interruppe il quieto sciabattio di quell'alba.
“Che cazzo succe.. “ iniziò, da vero gentleman, ad esclamare mentre alzava lo sguardo.
Una visione orrorifica si parò davanti ai suoi occhi come un rivelazione mistica.
I miseri resti di un TV LCD da 5.000 euro giacevano sparsi per tutto il pavimento, dalla cornice sventrata pendevano malinconicamente i fili elettrici ormai inutili.
Sembrava che qualche psicopatico si fosse divertito a torturare il poverino con un trapano, prima di sfondare a calci l'innocente monitor.
“CIRO! CIROOOOOOOOOO! OMMMIODIOO CIROOOO! COSA TI HANNO FATTO!!” urlò entre si lanciava, con la grazia di un bradipo, verso il telefono per chiamare i soccorsi.

Poliziotto: “Pronto intervanto come posso aiutarla?”
Usa-free: “CIROOOO! HANNO AMMAZZATO CIROOOO!”
Poliziotto: ”Signore si calmi, la prego, e mi dia il suo indirizzo...”
Usa-free: “AAAARRGH!! AUUUUHH!!CIROOOOOOOOO!”
Poliziotto: “Signore la prego...”
Usa-free: “CIROOOOOOOOOO!!”

Perso com'era nel suo limbo di dolore ed ululati Usa-free non udì nemmeno lontanamente il soffice rumore di una mano che copriva la cornetta del telefono, ne tanto meno il successivo sussurro.

Poliziotto: “Franco! Chiama Gavvino ed Efisio che abbiamo un altro sbarellato da rintracciare...”

Un ragnetto bianco, maliconicamente posato sulla spalla di Usa-free, si grattava la testa con una zampina. I suoi adorabili grappoli di occhietti esprimevano tutta la sua perplessità per quagli inquietanti avvenimenti.


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SAN FRANCISCO – CALIFORNIA – IN UNA STANZA BUIA.

L'interno della stanza era parecchio buio. Da quando aveva dipinto le finestre con vernice a base di piombo, per schermarle dai raggi spaziali, non entrava più molta luce. Ma a lui non importava. Si era dannato l'anima per proteggersi, per schermare la sua mente e i suoi computer da Loro.
Loro erano dappertutto: nei mass media, nei governi. Ti controllavano ovunque e sempre, avvelenavano il cibo e l'aria per portare avanti i loro folli piani. Ma lui li aveva scoperti ed era riuscito ad eludere tutti i loro controlli!
Per rispetto alla sua volontà di anonimato, nonché al mazzo che si è fatto per non farsi scoprire, non vi riveleremo il nome di questa persona. Ci limiteremo a riferirci a lui come al Complottista Anonimo utilizzando, per ragioni di sintesi, l'abbreviazione C.A. Messe fra parentesi [ ]troverete alcune precisazioni tecniche poste dall''autore per consentirvi di comprendere alcuni fantastici ritrovati tecnologici non disponibili sul mercato.
Dunque, ricapitolando, C.A. sedeva al centro della stanza dove aveva piazzato la sua esclusiva orgon chamber [l'asta per acquistarla su ebay era stata estenuante, 2 mesi e 30.000 euro ma ne era valsa la pena]. Quella potente struttura di legno, cartone e metallo non solo lo avrebbe protetto dai Loro raggi sonda , ma avrebbe anche provveduto ad annullare l'effetto dei loro veleni [i mistici poteri di una orgon chamber consentono di concentrare e convogliare l'energia orgonica, che può curare qualsiasi malattia, schermare dal karma negativo, cuocere le lasagne ed è anche l'unico strumento in grado di affilare un'alabarda spaziale].
All'interno del prodigioso marchingegno aveva posto il suo letto ed il computer. Uno spazio 3 metri per 2 non era il massimo, ma così era CERTO che nessuno dei Loro emissari avrebbe potuto trovarlo e plagiarlo.
C.A. quel giorno era molto eccitato, finalmente era riuscito a filmarli. La nave, un piccolo puntolino argenteo, gli sarebbe sfuggita quasi sicuramente se d'improvviso non avesse iniziato ad emettere un immensa scia marrone. L'odore che era seguito a quell'immensa sica chimica lo aveva quasi soffocato, ma lui eroicamente aveva resistito e filmato.
“Ah!Ah!Ah! Brutti bastardi! Finalmente vi ho beccato!!” esclamò felice, adesso nessuno potrà impedirmi di rendere noto il video sul mio sito Banalità! Tutti i miei lettori sapranno la verità e la diffonderanno!!”
Si chinò e inizio furiosamente a digitare, preso dal sacro fuoco della Verità, nessuno avrebbe potuto fermarlo.

Un ragnetto bianco osservava esterefatto il disvolgersi di cotanta passione.

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ORBITA TERRESTE – PUNTO IMPRECISATO – PLANCIA DEI RETTILIANI

L'interno della plancia era un vero casino, da quando faceveno i doppi turni Gavvino ed Efisio avevano veramnte poco tempo per le pulizie.
Gavvino si grattò la testa squamosa mentre tentava d'individuare un percorso che fosse relativamente sgombro.
“Ahiò! Nemmeno dopo la guerra coi marcabiani questa nave così un porcile era!” esclamò mentre driblava i cartoni della pizza e le bottiglie di latte, tenendo la coda ben alta per non sporcarsela.
“Tutta colpa dei doppi turni è” esordì una voce proveniante da una delle alte poltrone di fronte ai monitor “Ancora perchè questo lavoro del cazzo accettare hai voluto capito non ho!”
“Efisio ti prego...” sospirò Gavvino avvicinandosi al compagno “non ricominciamo.”
Finalmente vediamo Efisio: è leggermente più alto del suo socio e la sua pelle ha una sfumatura di verde più olivastra, essendo anche molto più vanitoso la sua coda è ornata di coda-letti (sarebbero braccialetti per la coda) molto alla moda. Era chino su un monitor da cui leggeva avidamente.
“Gavvino che cazzo” sbottò “pure col contratto a progetto assunto ci hanno”
“Certo se tu a poker con la quinta forza d'invasione la casa perso non avessi...”
“Barato hanno quei bastardi! Comnunque qui a vedere vieni che beccato ci hanno?”
“Che?” Gavvino si chinò sullo schermo che mostrava un sito internet: Banalità.
Osservò il filmato che mostrava un piccolo puntolino argenteo rilasciare un immenso pennacchio marrone, il sito banalità aveva pubblicato un breve estratto del loro ultimo viaggio . Agrottò il sopracciglio pensieroso, un'altra manica di pazzi coi forconi era l'ultima cosa che gli serviva.
“Gavvino quante volte dire te lo devo! Quando andiamo a prendere la busta paga, tirare lo sciacquone non devi!”
“Ma spiegare mi devi perchè se a Roma dobbiamo andare, sempre sopra la California passare devi?”
“Ma tutte quelle gnocche in bikini viste le hai?”
“.......”
“Le terrestri bonazze sono!”
“Pure umanofilo sei?”
“Ahiò! Qui solo noi due ci samo o umanofilo o......”
“Meglio umanofilo!”

BIP! BIP! BIP! Un cicalino iniziò a trillare attirando l'attenzione dei due rettiliani, c'era del lavoro da fare, un'altra ricerca da completare.
“Gavvino mi spieghi una cosa?”
“Che?”
“Ma perchè noi hanno assunto per fare le interecettazioni?”
“Telecom Italia troppo costava.”


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DEBUNKER CITY, VIA DELLE SCIECOMICHE, CASA DI USA_FREE: due ore dopo

Il maresciallo Orboveggente e l'appuntato Dan osservavano preoccupati la scena. Il padre della vittima era talmente sconvolto che si era reso necesasrio farlo ricoverare d'urgenza.
Certo il poverino ne aveva tutte le ragioni: la vittima era stata prima bucherellata centinaia di volte, per poi essere finita con un pestaggio degno solo di un Hooligan inglese.
Il tecnico della scinetifica, Brain-use, stava frugando la stanza con i suoi apparecchi ad alta tecnologia. Nemmenoil più microscopico frammento di prova sarebbe sfuggito al suo Hoover.
“Marescià” esordì Dan “C'è una cosa che proprio non mi quaglia?”
“Che cosa, appuntato?”
“Ma se il pazzo è stato due ora buone a trapanare....”
“Eh? Che intendi dire?”
“Come cazzo ha fatto quello a non svegliarsi? E' sordo?”
“Appuntà dal rapporto risulta che prima cordicarsi il testimone aveva guardato la maratona sei ore non-stop di C'è posta per te.”
“Ed è spèravvisuto?”
In quel momento il tecnico inizio a saltellare come un grillo per esprimere la sua gioia. Iniziò a sventolare la pinzetta che teneva in mano sotto al naso dei due agenti.
“So chi è stato! So chi è stato!” giubilò Brain-use mentre continuava ad esibirsi nella celebre danza della prova. Mentre il tecnico continuava a torcersi e zompettare, come una rana epilettica, i due agenti cercavano di seguirlo per capire cosa avesse trovato.

SBAM! CRACK!

La scena immediatamente successiva vede Orboveggente e Dan seduti rispettivamente sulla schiena e sulle gambre di Brain-use. Un perfetto placcaggio in stile rubgistico era stato l'unico modo di interrompere il balletto e poter esaminare la prova.
I due erano palli e tesi, la pinzetta sospesa fra loro tratteneva l'aggiacciante certezza ai loro sospetti. Lui era tornato. Sei vittime in due mesi, sempre con lo stesso modus operandi. Le vittime torturate con vari utensili da bricolage, finite poi a calci e infine quella tenua traccia di briciole di focaccia.
Si guardarono in faccia preoccupati, fin'ora nessuno era riiuscito a identificare l'uomo che i media chiamavano il DRM Killeer.


LUNGO LAGO DI VIGANELLO, UN MANIERO SU DI UN ALTO PICCO:

L'ampia stanza è piena di monitor apple, ognuno mostra l'inquadratura ripresa da una diversa telecamera. Si vedono famiglie che che cenano, sfigati che giocano a Second Life, geek che si sfruguliano il kernel, winnari alle prese con l'ennesimo virus, ecc. Seduto ad una scrivania presso la finestra siede un uomo il cui volto, coperto da una mascherina chirurgica, esprime un intensità senza pari.
Mentre il cielo in temposta scarica tuoni e fulmini sullo specchio del lago, lui sta studiando le cianografie di un palazzo.

“Ah!Ah!Ah! Nessuno potre far finta di niente!” esclamò “Dopo il mio prossimo colpo tutti sapranno la Verità! Ah! Ah! Ah!”
Sempre ridendo si alza di scatto, afferrando la valigetta del Black & Decker. Col nero mantello che svolazza al suo seeguito entra in garage e sale sulla sua punto, pronto per un altra notte di scorrerie.

Quali saranno le sue prossime vittime? E qual'è la Verita (notare la maiuscola, prego) di cui và parlando? Riusciranno i nostri pordi carabinieri a risolvere l'annoso mistero?
Tutto questo e molto di più nella prossima puttanat.... ehm puntata.

venerdì 30 maggio 2008

DRM Killer - comunicazione di servizio

Vi chiedo scusa ma la pubblicazione del primo capitolo slitterà di 1/2 giorni. Avevo previsto di finire il capitolo ieri, rivederlo oggi e pubblicare in serata... ma ieri tornando dal lavoro ho avuto un'incidente.

Niente di grave, per carità, ma non sono riuscita a rispettare la tabella di marcia. Porate pazienza che a breve vederete le spaventose avventure del killer più temuto da Orboveggente (occhio al tuo monitor ciccio!).

Basciuz
Al


Aggiornamento: dopo essermi beccata un'accusa di fare satira religiosa di bassa qualità su questo blog... ho deciso di farla davvero!! Per cui nei prossimi capitoli compariranno anche:

Fankey: in missione sulla terra per portarci il Ministero del Ragno di Zio
Il Ragno
Lo Zio

Padre Gabriele Amorth armato di crocifisso a due mani e bibbione da lancio

Xenu
La Lake Org

Poi voglio vedere se un paio di critici di scentology accettano di fare da comparse comiche.

mercoledì 28 maggio 2008

Importante petizione al ministero della salute

Per fermare la diffusione di malattie veneree (AIDS, sifilide, gonorrea, etc..) e gravidanze indesirate, si chiede di implementere nelle scuole corsi seri di edducazione sessuale. Che siano tenuti da medici e psciologi qualificati e non dai soliti ingoti impreparati.

http://www.petitiononline.com/Scuola/petition.html


La cosa non ha il minimo valore legale. E' semplicemente il tentativo di dare visibilità pubblica ad una problematica seria e molto allarmante.
Se si tiene conto che il livello di preparazione degli adolescenti è:

- la prima volta fai non resti incinta
- se lo fai in acqua non resti incinta
- se lo fai in piedi non resta incinta
- se dopo ti fai una lavanda con la coca-cola non resti incinta
- l'aids lo prendono solo i gay e i tossici, gli etero no.

Un gesto per sensibilizzare governo ed opinione pubblica è necessario. Forse non se ne uscirà nulla, ma un tentativo non cosata nulla.

lunedì 26 maggio 2008

Progetto comico

Avevo iniziato a parlarne sul blog di Paolo Attivissimo. L'idea sarebbe quella di prendere varie "personaggi" che gravitano da quelle parti per tirarne fuori uno o più racconti comici. Complottisti vs. Debunker o Win vs Open source. Dopo tutto fin troppo spesso si degenera in holy wars varie, riderci sopra non può che fare bene.

Le idea:

*** DRM KILLER ***

Un misterioso killer si aggira per le strade della città: innocenti televisori HDMI, ipod e pc windows vengono trovati massacrati a copi di trapano.
Il detective Orboveggente, assistito dall'agente Dan, si mette sulle traccie del pericolosissimo criminale.

Nel frattempo Usa-free (dopo aver subto una tragica perdita), Markgots e Hammer si accorgono che qualcosa di strano sta succedendo ai loro televisori. Inquietanti immagini appaiono sui loro schermi inquitando le loro notti (e impedendogli di guardare Lost).
Preoccupati decidono di rivolgeri al grande gurU dell'alta definizione e saggio della montagna blu-flame.

*******

Molto probabilmente faranno la loro comparsa anche i rettiliani.

Se avete suggerimenti o volete fare la vostra comparsata, postate nei commenti.

venerdì 23 maggio 2008

Molti, amari, banchetti.

******NOTA*****

Questo prose poem era stato originariamente concepito per partecipare al concorso letterario " 300 parole per un incubo". La versione iniziale, più corta, è pubblicata sul sito scheletri.com. La "extended veriosn" è pubblicata anche sulla mia pagina inglese. In questa versione ho cambiato un paio di dettagli, più che altro per evitare un'eccessiva ripetizione di alcuni termini.

Questo è un tentativo di affrontare un classico del genere horror sotto una prosepettiva meno scontata, spero di non aver fatto troppi danni.


************



Gli angeli cantano sui pinnacoli della città questa notte.
Metto il mio miglior vestito ed indosso il mio sorriso più brilante,
questa è una notte di caccia, una serata di intenzioni sbagliate.
Per te, non per me...
Sei bello come un santo questa notte,
un gesù dipinto con oro e sangue.
Attraverso le ere, attraverso la storia, non riesco più nemmeno a contare
tutti gli angeli che ho divorato per atraversare i secoli intoccato.

Ti seguo in questo maelstrom fatto di folla e musica,
sorridi dolcemente, godendo questi momenti finali del tuo sogno d'amore.
Questa notte morirai felice e forse è una rara fortuna.
Non conoscerai mai gli sfregi che il tempo lascia al suo passaggio,
il lento decadere della vecchaia.
E' tardi ora, così torniamo alla tua casa,
il luogo dove la diversità che ti porti dentro può trovare rifugio,
il castello della tua infinita solitudine.
Dirti addio fà quasi male, ma è la tua vita o la mia,
nessuno di noi ha chiesto il destino che gli è stato dato in sorte.


Il fato ti ha riservato una scomoda natura, una disturbante maniera d'amare,
non conforme al Dogma e alla Natura.
Una vita di solitudine.
A me ha dato un'oscuro segreto, quello del sangue e delle epoche,
una vita per una vita, per evitare la fine.
Una esistenza di solitudine.
Sei come un dio, come un sogno,
con la tua perfetta maschera d'innoccenza,
e desidereo tenerti con me,
un altro giorno per far finta che possa essere per sempre.

Vorrei che le carte del destino non fossero state mescolate,
in un tempo ormai lontano, da un folle malato d'arroganza.
Vorrei poter essere ciò che tu vuoi io sia,
un uomo di sangue e respiro con cui invecchiare.
Ho pensato di portarti con me attraverso le ere,
per rendere la tua innocenza apparente eterna,
ma come può una maledizione preservare cio che è sacro?
Come può il peccato sembrare
il ritratto delle più pura santità?

L'onnipotente lancia uno sgurdo furente,
su di noi che vaghiamo oltre i confini della sua grazia,
cercando disperatamente una redenzione lontana,
fallendo ogni volta che lo sfidiamo,
ogni folta che diamo natali ad un nuovo dannato.
Specialmente quando teniamo al sicuro
il disvolgeri di un precedente peccato.
Mi chiedi perchè sono così triste.
Vorrei poterti spiegare questa mia anima,
divisa fra l'istinto di porre fine alla solitudine
e la necessità dell'ascensione.
Cerco di trovare le parole...

Ma la verità non lascia nascondigli,
è l'istinto del predatore, la voce del dragone.
L'eternità che è in me si sveglia
ed è tempo di banchetto, festa di sangue.
Estasi di energia e morte, parossismo di crudeltà.
Una, cento, mille, quante volte ho fatto questo per sopravvivere?
E' solo un'altra delle incalcolabili morti.
Una delle tante volte in cui ho ucciso
per soddisfare la mia sete ed estinguere un peccato.

Ma se questo è solo uno dei miei molti, amari, banchetti
perchè sto piangendo?

domenica 18 maggio 2008

Andreas

*********DEDICA***********

Le bisticciate con Buffy sembra che qualche neurone me lo abbiano smosso, infatti mi è venuta l'idea per questo breve prose poem. Per cui, Buffy, questo post è dedicato a te.

E' una primissima bozza per cui è molto probabile che parecchi orrori di battitura mi siano sfuggiti. Sotto con le correzioni!

********************************


Il buio si stempera magnifico nel nascere di un nuovo giorno. Toni di blu, rosso e violetto si mescolano nella grazia nebbiosa del primo mattino. Andreas guarda il cielo ed il cielo guarda se stesso. Il tempo del ricongiungimento è quasi arrivato, sulle rive di un piccolo lago. Un momento atteso e cercato per tempi incalcolabili: la fine di lunghi anni di solitudine.

Era sempre stato diverso Andreas, diverso da tutti. Piccolo folletto che ha perso i colori, un albino.
Il mondo per lui era un'immenso nemico. Il sole, immensa palla gialla d'odio, che gli abbacinava gli occhi e gli bruciava la pelle. Le persone... alte torri di carne sempre pronte a proferire verbo crudele, sassi scagliati contro al mostro.
Lunghi anni perduti nell'oblio, ombra che si nasconde nel silenzio. Sempre allerta, sempre attento per sfuggire agli artigli dell'uomo. Solo una voce, apparsa un giorno dal nulla e dal caso, consolava l'agonia di questo incerto divenire.
-Il futuro ti aspetta fra gli astri Andreas, la verità attende fra le ombre. Non è questo il tuo mondo, ne mai lo sarà-
Sussuri gentili, appena uditi, affetto e consolazione. La promessa di un cosmo diverso e splendente, un mondo dove poter trovare una vita da vivere.
Così Andreas fuggi dalla sua prigione dimenticata, per cercare i sussurri ed i segni di questo nuovo mondo. Attraverso quegli incubi sconfinati di acciaio e fumo che gli uomini chiamano città. Attraverso i campi di grano funestati dal vento. Nei boschi e nei prati, nel volo degli uccelli ha seguito i segnali fino alle rive di questo piccolo lago.

Andreas guarda il cielo riflesso nell'acqua, sorride alle nubi che giocano con le onde. Aspetta l'arrivo di questo suo amico sempre sentito, ma mai visto. I suoi occhi si spalancano colpiti dalla meraviglia. Una piccola luce danza sull'acqua e nel suo moto acquisisce forma e sostanza. Nel suo dolce perigrinare disvela la sagoma di un folletto che ha perso i suoi colori.
-Vieni da me amato mio, torniamo a casa, alla nostra sola e autentica dimora.-
La voce, quella voce! Cosi tanto ascoltata, cosi immensamente amata!
Andreas guarda quelle braccia di luce aperte per accoglierlo ed il sorriso gentile, il primo che mai abbia visto.
Incurante del freddo, insensibile al vento, Andraes cammina leggero. Si perde in quell'abbraccio tanto atteso, in quell'amore mai veramente vissuto, sentendosi vivo per la prima volta. Sentendosi finalmente qualcuno e parte di qualcosa. Andreas è felice.

Allo spuntare del giorno Andreas ha preso i suoi sogni ed è partito verso un nuovo mondo, lasicandosi alle spalle solo il cadavere di un morto affogato.

venerdì 16 maggio 2008

Cambiamento stilistico

Dopo che un amico mi ha fatto notare quanto fosse spacca occhi il precedente modello, ho deciso di provare a migliorare la leggibilità.

Avete suggerimenti per migliorare su questo fronte? Io di blog ci capisco quanto Orboveggente (ciao ciccio) ci capisce di Linux :D :P

giovedì 15 maggio 2008

Omne ignotum pro maginfico - Tutto ciò che è ignoto è magnifico

NOTA: Questo racconto è ispirato ad una vecchia leggenda milanese. Si racconta che un tempo, nel parco del castello sforzesco, durante notti di nebbia fosse possibile incontrare una strana donna velata. I giovani che incontravano questa donna venivano condotti in una misteriosa villa all'interno del parco. I pochi che tornarono, si dice, persero completamente la ragione. La diffusione della leggenda raggiunse tali proporzioni che, a cavallo fra 19° e 20° secolo, furono organizzate delle vere e proprie battute di caccia alla dama e alla villa... ovviamente nessuna delle due fù mai trovata.

EDIT: ho corretto un po' di orrori, special thanks to orboveggente.




Era una notte d’inverno e la neve cadeva leggera, creando riflessi fantastici, mentre giocava con la luce dei lampioni a gas. Errico si strinse nella mantella, per scacciare il gelo di quel dodici dicembre del milleottocentonovantasette. Era stata una splendida serata, un ballo veramente magnifico, di cui si sarebbe parlato per molti mesi a venire. Per tornare a casa aveva deciso di prendere una scorciatoia attraverso il parco del castello. Voleva camminare, per smaltire i fumi dell’alcol, ma non voleva nemmeno giungere alla sua dimora a giorno fatto. Camminava rimirando quel paesaggio fiabesco rapito dallo stupore, quella sera il parco del Castello Sforzesco sembrava diverso.
-Sembra quasi un giardino di sogno- si disse -chi l’avrebbe detto che questa Milano di fine secolo avesse ancora tali scorci da mostrare, che quest’epoca di acciaio e fumo potesse ancora regalare un po’ di magia-
Il rumore della neve schiacciata da passi affrettati interruppe i suoi pensieri e lo fece voltare. Aguzzò gli occhi per scorgere chi vi fosse e, dopo un breve momento, una silouette iniziò a delinearsi in quel bianco turbinare.
La sagoma di una donna, quasi come un’apparizione, si delineò pian piano avvicinandosi. Le forme aggraziate erano avvolte da un sobrio abito bianco e, a completare l’insieme, la giovane portava una mezza tuba dalla quale scendeva un velo niveo a coprirle il viso.
-Madama- esordì Errico, mentre cercava di discernerne il volto -Cosa vi conduce qui ad un’ora tanto insolita?-
L’impressione di un sensuale sorriso filtrò dal velo, facendo accelerare il cuore del giovane.
-Amico mio, non bisognerebbe mai chiedersi il perché di un incontro fortunato- gli rispose lei con voce calda -ad ogni modo, stavo solo rientrando alla mia dimora-.
-Permette che vi accompagni, non è prudente che una fanciulla vaghi sola ad un’ora così tarda!-
-Siete molto gentile, signore-
La dama, dopo un piccolo inchino, porse la mano al suo accompagnatore. Quando la prese a braccetto il cuore di Errico sembrò quasi scoppiare, non si era mai sentito così. Forse era quell’aura di mistero o quel panorama magico, non riusciva a spiegarsi cosa gli mozzase il respiro. Incapace di parlare la seguì docilmente, camminando senza poter fare a meno di guardarla. Il corpo flessuoso stretto nello chiffon bianco, l’incarnato candido delle sue piccole mani e quel meraviglioso volto, appena intuito dietro alla cortina di seta. Tutto in lei sembrava forgiato d'innocente perfezione. Percorsero vialetti di cui Errico ignorava l’esistenza, andando sempre più in profondità nel parco, smarrendosi fra gli alberi e la neve.
Errico si perdeva felicemente in quella malia notturna, aveva sempre sognato un’avventura fatata che lo portasse lontano dalla sua vita quotidiana.
Dopo un tempo indefinibile giunsero ad un cancello di ferro battuto. La sua accompagnatrice estrasse una pesante chiave di ferro arrugginito e schiuse la serratura. Un ampio viale, fiancheggiato d’alberi, conduceva all’ingresso di una villa imponente. In un impeto cavalleresco corse ad aprire il pesante portone di legno, inchinandosi al passaggio della dama che subito seguì all’interno.
Una volta nell’androne Errico fu alquanto sorpreso: benché l’ingresso fosse arredato con gusto lussuoso ed impeccabile, l’ampio specchio era coperto da un drappo a nero e gli ornamenti del lutto decoravano le pareti. Cosa ancor più curiosa, una melodia aleggiava nell’aria, Strauss forse…

Mentre iniziava a chiedersi cosa stesse succedendo lei gli strinse nuovamente la mano e lo tirò avanti. Attraversarono una lunga serie di stanze, tutte sfarzose e tutte egualmente parate a lutto. C’era un contrasto stridente ed affascinante, fra il lusso sfrenato del mobilio ed i macabri addobbi alle pareti. Infine giunsero ad un immenso salone per balli dall’aspetto stupefacente. Le pareti erano finemente affrescate con scene tratte dalla mitologia greca e vetri colorati erano posti davanti alle lampade. La luce mutevole e policroma dava a quel luogo un’aria irreale e meravigliosa, lasciando Errico a guardarsi attorno in preda alla meraviglia. Nell’angolo più remoto di quella fantastica cattedrale pagana finalmente scorse l’origine della musica: un’orchestra da camera stava suonando solo per loro.
La giovane, sempre tenendogli la mano, si pose di fronte a lui e gli posò l’altro braccio attorno al collo. Iniziarono a ballare lentamente, trasportati dalle note leggiadre di un valzer di Berlioz.
La dama lo condusse in un giro sempre più vorticoso di danze, mentre lui continuava a guardarla e fantasticare sulla bellezza appena intravista del suo volto. Continuarono a lungo a navigare nella musica e nella luce onirica di quella stanza, mentre il leggero contatto con il corpo di lei faceva dimenticare ad Errico tutti i suoi buoni propositi di un celere rientro.
Il giovane aprì la bocca per chiederle chi fosse, ma lei posò un dito sulle sua labbra, come a dirgli di rimandare ad altro tempo le sue fanciullesche domande. Si allontanò da lui di un passo e, dopo averlo osservato per un istante, corse via ridendo. Rimase impalato per qualche istante, stupito da quella scomparsa improvvisa, fin quando non udì la voce di lei chiamarlo.

Errico uscì dal salone e si ritrovò in un lungo corridoio, al cui termine era posta una scala che scendeva nelle profondità della magione. Incerto sul da farsi, cominciò ad aprire una porta dopo l'altra. C'erano diversi salotti ed una sala musica, ogni stanza conteneva oggetti stupefacenti. Varie antichità erano sparse per le sale: steli di pietra incise con simboli di divinità celtiche, mummie, statuette votive dalle Americhe. Trovò una collezione molto estesa e preziosa, ma della fanciulla non vi era traccia alcuna.
Tornò nel corridoio, guardandosi attorno confuso, chiedendosi a che razza di gioco lei stesse giocando.

-Errico!-

La voce veniva dalla direzione delle scale. Finalmente sapeva dove cercarla! Scese gli scalini correndo, fino a giungere ad una porta di legno. Varcò la soglia con trepidazione e lo stupore montò come un onda alla vista di quel che vi trovò. Il corridoio era in un evidente stato di degrado: l'umidità gonfiava e staccava dai muri la carta da parati, macchie di muffa disegnavano grotteschi arabeschi e, sopra tutto, regnava un pesante odore di vecchiaia e decadenza. Sembrava quasi di trovarsi in un altro mondo, un riflesso distorto della gloria precedente.

Clack!

Lo scatto della serratura fece sobbalzare Errico. Si giro e scosse la porta, provò a prenderla a calci, ma quel pezzo di legno sembrava essere diventato misteriosamente inamovibile. S’appoggio alla porta, cercando di calmarsi.
-Questo scherzo non è affatto divertente! Fammi uscire!-
L'unica risposta fu una risata cristallina, che rimbalzò dalle profondità del corridoio fino al giovane. Non poteva restare lì in eterno, per rincuorarsi si disse che doveva pur esserci un'altra uscita. Così s’avviò con passo incerto, reso inquieto dalla fitta penombra di quel luogo. A metà del corridoio stava una porta socchiusa, l'odore di decomposizione che ne filtrava era talmente forte da soffocare. Stava per passare oltre; quando udì un debole lamento, quasi un mugolio, venire da lì. Si avvicinò con cautela e spinse l'uscio.
La visione che si presentò ai suoi occhi era scioccante: un vasto salone si apriva di fronte a lui, le pareti affrescate erano coperte da centinaia di schizzi di sangue e da macchie scure e grumose. Molti cadaveri, in diversi stadi di decomposizione, erano sparsi per il pavimento. C'erano corpi gonfi e mutilati abbigliati in abiti moderni, affiancati da scheletri coperti dai resti di armature ormai completamente arrugginite. Un campionario di cadaveri di ogni epoca e luogo. Al centro di quello scempio, rannicchiato sul pavimento, c'era un uomo che si muoveva debolmente. Vincendo il panico s’avvicinò all'uomo per cercare di soccorrerlo.
- Dev’essere ferito!- pensò - Devo aiutarlo! Forse sá come uscire da questo incubo.
Mentre stava chinandosi per soccorrere il ferito, questi gli afferrò una gamba, lamentandosi di nuovo.
-Stai.. stai calmo! Adesso usciamo di qui... se ci mettiamo in due dovremmo riuscire a sfondare la porta-
L'uomo non rispose ed iniziò a sollevare lentamente il capo. Errico si chinò di più, per cogliere le parole che credeva lo sconosciuto volesse dirgli. Si ritrovò di fronte al volto dell'uomo, una maschera mutilata e infranta. Il suo occhio destro e parte delle labbra mancavano, la pelle era un brulicare di vermi gonfi e lividi. Si ritrasse urlando, scrollandosi quella cosa di dosso. Lo prese a calci finché non crollò a terra, lasciando la presa. In quel momento vide gli altri morti sollevarsi lentamente ed inesorabilmente.
Un’orda di anime prave, rese folli da quella parodia di vita nella morte, si stava lentamente muovendo verso di lui.

Si catapultò fuori urlando.
-La porta, devo tornare alla porta!- urlò a se stesso –Devo aprila, sfondarla in qualche modo!-
Stava per mettersi a correre in quella direzione, ma la strada era sbarrata. Lei stava lì, bella come una dea antica, attorniata da tre di quegli orrori. La dama rideva follemente, con le mani appoggiate al petto, mente i morti si muovevano verso Errico.
-Corri, buffo pulcino, corri!-
Iniziò a correre nella direzione opposta, pregando per la prima volta dopo molto tempo. Giunto ad un bivio si fermò per un istante, chiedendosi dove andare. La decisione fu presa nel momento in cui, dalla penombra di una delle diramazioni, i morti senza pace emersero. Silenziosi e implacabili, avanzavano portando in volto un’espressione estatica, incastonata fra le ferite ed i grumi di sangue.
Errico corse. Quel posto sembrava un labirinto immenso e, ad ogni incrocio, c'era sempre almeno una di quelle cose qualcuna delle vie. Avanzavano con calma, come se il tempo ormai non esistesse più.
-Com'è possibile?- pensò -sono così lenti! Come possono essere dappertutto?-
Continuò ad andare ed avanti ancora, a girare e rigirare per quel dedalo. Era ormai fisicamente esaurito quando giunse ad una vasta stanza scavata nella pietra. Al centro dell'antro stava una pozza d'acqua, come una specie di stagno. Probabilmente una delle tante fonti d'acqua che crivellavano il sottosuolo milanese. Girò su stesso guardandosi attorno,cercando una via di fuga. La camera aveva molte entrate e, da ognuna di esse, fluiva al rallentatore la massa dei dannati. Entravano ordinatamente, come soldati, circondandolo da ogni lato. Dalla folla dei morti si levava un bisbigliare concitato. Avanzavano, stringendo il cerchio, costringendolo ad arretrare verso il centro della stanza. Errico stava per finire nella pozza, quando una voce si levò:

-Fermi!-

La folla dei morti si divise e la dama avanzò con passo regale sino al centro della stanza. Quando i suoi piedi toccarono la polla, l’acqua iniziò a ribollire e cambiar colore. Si pose al centro del piccolo stagno e, mentre l'acqua contaminata tingeva di scarlatto le sue vesti candide, allungò una mano verso la sua preda.

-Non era quello che volevi?-

Mentre guardava paralizzato la fata di sangue, i morti afferrarono Errico. Sentì le loro mani viscide e contorte stringerlo per trascinarlo avanti, verso la regina di quella danza macabra. Si dibatté cercando di liberarsi, per non dover vedere quel che lei voleva mostrargli.

-Una magia, una favola, in questa epoca di acciaio e fumo. Dove i treni rendono il mondo troppo piccolo.-

Altre mani lo agguantarono, gli si posarono sulle guance, costringendolo a guardare il fulcro di tutta quel nero incanto. Sentiva i vermi e chissà cos'altro passare da quelle mani gelide a lui invadendolo, violandolo. La dama inizio lentamente a sollevare il velo che le copriva il volto.

-Demone, strega, Lillith. Tanti nomi, per altrettante ingiurie. Guarda il mistero che tanto bramavi.-
-Guarda cos’ha creato l’odio di chi avete schiacciato.-

Spinsero Errico più avanti, più vicino, a pochi centimetri dell’enigma che si andava svelando. Poteva sentire il sangue della polla ribollire attorno alle sue gambe ed il calore bruciante, potente, che dalla dama si sprigionava. Cercò di ritrarsi, ma le mani dei morti lo inchiodavano implacabilmente al suo destino.
Il velo salì, centimetro dopo centimetro, svelando con calma l'arcano letale. Eccolo finalmente, quel volto che tanto aveva sognato di vedere. Fin troppo umano, splendido nel suo immenso dolore. Arso dalla bruciante essenza di un’infinita fame di vendetta, dall’inesorabilità di chi passa dalle catene al potere.


Errico vagava per i corridoi. In realtà non ricordava più il suo nome. Sapeva solo d’essere felice. La Signora era buona con loro: lasciava che la rimirassero e talvolta, quando si comportavano bene, concedeva loro un sorriso o una carezza. Erano fortunati, vivevano al servizio del più grande dei misteri. Errico vagava nel dedalo con un’espressione estatica sul volto, incastonata fra le ferite ed i grumi di sangue.