venerdì 5 dicembre 2008

Rosso Rubino

Aveva tutto quello che un uomo può desiderare: bellezza, potere, denaro. Faceva la vita che ogni maledetto salariato del pianeta desidera. Jet set e compagnia bella, con annessi e connessi, donne da sogno e viaggi da favola.
E come ogni ricco dalla vita da favola si annoiava. In fondo è una storia vecchia come il mondo, quella del giovane principino annoiato che decide di dedicarsi al peggio della vita. Succedeva già coi giovani nobili spartani che andavano a massacrare gli iloti, l’hanno fatto alcuni imperatori romani e i re cristiani non erano da meno. Come si suol dire, niente di nuovo sotto al sole.

Bello come il sole e disinvolto, un vero cavaliere. Certo finché il suo interesse durava, una volta finita la caccia… come dire il suo interesse scemava ed il suo comportamento cambiava radicalmente. Potremmo dire che, in un certo qual modo, iniziava un altro tipo di caccia.
Una caccia fatta di sparizioni e ricomparse rapide. Di giochetti manipolatori. Di richieste crudeli. Insomma si dedicava con passione alla creazione ed alla manipolazione di dipendenze psicologiche. E’ così facile far del male a coloro che ci amano e lui lo sapeva bene.

Purtroppo, dopo qualche anno, anche questo finì per annoiarlo. Tutto ciò cui si era dedicato prima o poi aveva finito per annoiarlo. Spesso più prima che poi.

Cosa resta dopo che i sentimenti ed i giochi che con essi puoi fare esauriscono la loro carica ludica? La violenza, il terrore, l'ultima e suprema forma di potere: l'annientamento di un altro essere umano. Ci fantasticò sopra a lungo senza passare all'azione, per quanto seducente la violenza gratuita non è socialmente considerata come cosa gradita.
Alla fine si trovò iniziò a crearsi molte giustificazioni altamente pseudo-morali che facessero al caso suo. La politica e la religione ne offrono sempre molte: dio, la patria, la famiglia, la difesa delle tue tradizioni, della tua razza. No, no, non è un refuso: il Dio del cielo, non c’entra nulla col dio di politicanti e ipocriti vari. Gruppi interessanti da quel punto di vista ce ne erano a non finire: dal leggere tutto quell'inneggiare all’odio, alla violenza ed alla forza all’unirsi ad un gruppo il passo fu breve. Ora, si diceva, non solo aveva una giustificazione agli occhi del mondo ed ai suoi, adesso stava combattendo per una giusta causa, stava proteggendo il suo paese dalla barbarie e dalla decadenza.
Si sentiva importante, forte, si sentiva immenso nell’illusione di far parte di qualcosa di glorioso. Ma soprattutto si sentiva un dio con una spranga in mano, quando coi suoi fratelli circondava uno di quei fottuti culattoni o di quei dannati bingo bongo. Avevano il potere, il totale dominio su quella feccia. Erano aldilà della legge con tutti i loro soldi. Aldilà del bene e del male mentre ripulivano il mondo. Poco importava se magari qualche slavo non era slavo o se qualche culo non era culo, se frequentavano certa gente non dovevano valere poi molto.

Quella sera non erano nemmeno usciti in caccia, volevano solo andarsi a fare una birra. Pensavano di farsi serata tranquilla, tranquilla. Ma l’occasione, si sa, fa l’uomo ladro.
Il nostro principino e due amici stavano percorrendo un tratto di strada a piedi; per poter raggiungere il loro pub del cuore che, per un’involontaria ironia del gestore, si chiamava “Simposio”. Il locale si trovava alle colonne di San Lorenzo, vicino a corso di Porta Ticinese. Era una delle zone più vecchie e belle di Milano. O almeno, a sentire i nostri eroi, bella lo era prima che tutti quei cazzo di extracomunitari venissero a starci con la loro merda al seguito. Si erano appropriati di tutto, erano proprio senza decenza, li potevi vedere stravaccati a grappoli. Ammassati ad ubriacarsi persino sugli scalini della basilica, un vero gioiello di storia sacra e loro riuscivano solo a lordarla con le loro bottiglie di birra vuote ed i loro mozziconi.
In ogni caso quella notte erano abbastanza di buon umore; in quelle settimane gli stava andando alla grande coi reclutamenti, sembrava quasi che finalmente gli italiani stessero aprendo gli occhi. Era una soddisfazione vedere tanta gente disposta a combattere per difendere i veri valori ed erano usciti per festeggiare, la serata era guastata solo dalla consapevolezza che quella sera, a meno di trecento metri dal loro sancta sanctorum alcolico, sarebbe stato inaugurato un locale che non gli andava molto a genio. Passi il ristorante cinese, passi anche quello indiano, ma un locale per finocchi nel loro territorio proprio non lo digerivano.

Ad ogni modo cercarono di non pensarci, almeno per i primi cinque minuti, e si affrettarono a raggiungere i loro camerati all’interno del pub.
La serata trascorse piacevolmente. L’alcol scorreva abbondante, la musica degli Screw Driver (*) a tutto volume, l’atmosfera densa di fumo e le chiacchiere fra amici fanno volare il tempo. Soprattutto quando è un dialogo fra persone che si danno sempre ragione a vicenda. I nostri tre eroi iniziarono a parlare con alcuni amici dell’indegno locale. Avreste dovuto vedere in che modo si “caricavano a vicenda”, in un graduale avvelenamento da testosterone e adrenalina. Tutti i presenti poterono assistere ad una sorta di comizio para-elettorale a cinque voci.

“ Non riuscirò mai a capire” attacco il nostro prode “come si possa anche solo pensare di approvare il matrimonio fra culi.”.
Scolata di birra.
“Hai ragione, sono tutte cazzate” rispose un amico.
“Cioè, madre natura, ha fatto gli uomini e le donne per fare i figli, non i finocchi. Che senso ha fare sposare due malati di mente che non potranno mai fare figli!”
Altra scolata di birra, rutto, grattata, ri-rutto.
“Eh già! Perché non legalizziamo la poligamia per i bingo bongo allora?” rincarò un altro avventore in vena di sapienza etilica.
“Cioè qualcuno... hic!... mi vuole spiegare come si può chiamare famiglia una cosa fatta da due invertiti, che nel migliore dei casi dovrebbero stare in manicomio?”
“A quelli non gliene fotte un cazzo di mandare il paese a puttane! Anzi è quello che vogliono, così potranno obbligarci a vivere a modo loro! Hic!”
“Eh si” attacco un altro “bisogna essere multiculturali! Poverini, hanno diritto alle loro cazzo di tradizioni! Eh si siamo noi che ci dobbiamo adattare! Donne! Tutte con il burqa e gli uomini tutti col culo all'aria a farsi inchiappettare da Allah!”
Ennesima scolata, capogiro, di corsa al cesso a vomitare, epica fine del comizio.

Fu in questo stato mentale che i nostri tre amici uscirono, ma più che altro furono sbattuti fuori, dal pub verso le due di notte e si incamminarono nella penombra della strada. Mentre procedevano barcollando vistosamente, il nostro piccolo principe, gettò un’occhiata verso l’ingresso di quella Sodoma e Gomorra bonsai e cosa vide?
Un ragazzo era fermo davanti all'ingresso, si stava accendendo una sigaretta. I nostri tre lo squadrarono con tutta l'attenzione di cui era capaci in quell'alcolico frangente. Ai loro occhi aveva un'aria da checca lontano tre chilometri, teneva la sigaretta come lo farebbe un vamp anni venti, ed oltretutto aveva anche un marcata colorazione ambrata della pelle. Finocchio e mulatto, cosa poteva esserci di peggio per i nostri tre cavalieri del reich?

Come dicevo, l’occasione fa l’uomo ladro e quale occasione migliore per loro? Iniziarono goffamente a seguire la loro preda. Malgrado il frastuono di tre ubriachi, il femminiello camminava tranquillo per la sua strada, apparentemente ignaro di chi aveva alle calcagna. Si fecero a piedi un bel pezzo di Corso Porta ticinese, coi suoi bei palazzi del sette-ottocento e la pavimentazione di pietra, ma sembrava che ci fosse sempre qualche passante fra i piedi. Il ragazzo svoltò in Via Santa Croce, proprio accanto alla Basilica di Sant'Eustorgio ed il suo parco cintato, poi svoltò in un vicolo sulla sinistra.

“Cazzo” sbotto uno dei due amigos “sto vicolo da dove cazzo salta fuori?”
“E' solo che sei troppo ubriaco perfino riconoscere i tuoi piedi” replico il principino “ e vedi di chiudere la fogna che se no ci sente”
“Sarà!” sussurrò guardandosi attorno confuso “forse dovremmo andarcene a casa”
“Chiudi il becco! Coglione!”

Il culattone girò in un altro vicolo ed iniziò a percorre un dedalo di viuzze secondarie, tallonato dai suoi rumorosi inseguitori. I nostri tre iniziarono a perdere progressivamente l'orientamento, i vicoletti di Milano sono una vera ragnatela, soprattutto quando ci si inoltra nei dedali che stanno dietro agli scintillanti corsi principali. E' facile perdersi e trovarsi dove meno ce lo si aspetta, lontani dalle luci scintillanti di Piazza Duomo o del Castello Sforzesco.
Mano a mano che si inoltravano in questa zona mai vista prima della città, sembrava che la luce si offuscasse progressivamente. Come se i lampioni venissero man mano eclissati da una coltre di nebbia che diventava sempre più fitta. “Accidenti” si disse il principino “non sapevo che ci fossero zone così buie in città”.
La loro preda ormai li aveva condotti in un territorio a loro sconosciuto, non avevano mai visto vicoli così stretti, circondati di muri così alti. Anche i lampioni erano ormai scomparsi, la poca luce residua sembrava venire da un cielo rossastro e malato, appena visibile al di sopra delle mura dei vicoli. Certo quello che i nostri amici non notarono fu la completa assenza di cavi di collegamento elettrico o tubi di scolo. Quel posto sembrava quasi la cattiva imitazione di una rete di vicoli, fatta da un alieno un miope e un po' ritardato. Ma l'alcol, si sa, non ha certo la tendenza a migliorare le percezioni umane.

Per quanto affrettassero il passo sembrava che la loro preda restasse sempre alla stessa distanza. C'erano sempre quei quindici metri a dividerli. Anche se non potevano vederlo in faccia avevano la certezza che quel maledetto si stesse prendendo gioco di loro, come se le sue spalle se la stessero ridendo sotto i baffi, così accelerarono un'altra volta il passo. La preda con fluida agilità scartò in un passaggio sulla sinistra e quando il nostro terzetto vi giunse… nulla! Sembrava essersi volatilizzato. Puf! Sparito!

Si guardarono intorno sperando di trovare qualche traccia, ma sembrava quasi si fosse dissolto nel nulla. Sembrava che fosse stato inghiottito dall'ombra della notte.
E poi, d’improvviso una risata alla loro destra, in un altro meandro. Resi ciechi dalla rabbia si gettarono avanti, ma anche li trovarono solo il nulla e poi un rumore di passi più in avanti sulla sinistra.
Poi ancora a destra e poi più in avanti, quella voce che li derideva.
“Avanti bambini, che c'è? Avete paura?” disse una voce ironica.
Si buttarono in direzione della voce con la carica di tutta la loro rabbia; avanti, avanti, sempre più avanti, senza notare che ora nei muri non si apriva più nemmeno una porta.
Quella voce continuava a schernirli, implacabilmente, riuscendo far scattare tutti gli interruttori della loro insensata rabbia. Sembrava spostarsi di qua e di là, un attimo era davanti a loro e subito dopo alle loro spalle o di lato. Continuarono a correre per quel dedalo che diventava sempre più buio, mentre la loro preda li scherniva facendo sentire la sua voce dappertutto o apparendo per un breve istante prima di eclissarsi nell'oscurità.

Proseguirono la loro folle caccia per un bel po’ prima di crollare letteralmente per la stanchezza. Fu a quel punto, mentre giacevano semi sdraiati per terra a riprende fiato, che il principino iniziò a notare che c’era qualcosa di veramente strano attorno a loro.
Il cielo non somigliava neppure vagamente a ciò che conoscevano, era un’ebollizione color rubino scuro: lenta, sinuosa, pulsante di una sua incomprensibile e sibilante vitalità. I muri si alzavano attorno a loro lisci,candidi e caldi al tatto, screziati solo dalle ombre dei loro simili. Non una porta si apriva in quella pietra tiepida, non una finestra, non un balcone interrompeva quelle superfici piatte. Niente di niente, solo quei muri bianchi e troppo lisci per poter essere scalati. Infinite pareti candide senza appigli, come quelle di un labirinto per topi.
Le ombre danzavano attorno a loro come agitate da un vento, ombre proiettate da corpi assenti. Sembrava che sui muri danzassero le sagome d’ombra di alberi, persone, animali, ma niente e nessuno si muoveva nella quiete del dedalo. Nemmeno un sibilo di vento, solo i loro respiri affannosi rompevano quel silenzio innaturale.

I nostri tre giovani si guardarono a vicenda, scoprendo come in ognuno di loro il terrore stesse velocemente montando come un’onda di alta marea. Si alzarono e cercarono di tornare sui loro passi, ma niente sembrava familiare. I passaggi di quella maledetta ragnatela erano tutti uguali. Muri lisci e caldi, che sembravano salire fino al cielo in urlo pietrificato. Passaggi che giravano e rigiravano, che si incrociavano entrando uno nell’altro, portandoli in giro in una folle spirale, mentre la luce diminuiva sempre di più.
Alla fine non restò che un timido bagliore rosso, che sembrava pennellare i pochi spazi ancora illuminati con il colore del sangue appena versato.
Le ombre attorno a loro iniziarono a mormorare e ridere, in una cacofonia di sussurri derisori e famelici, come una sinfonia folle suonata in sordina. L'oscurità si addensò nel passaggio alle loro spalle, fino a prendere una consistenza fisica, ribollente e aliena. Colava nel passaggio ostruendolo ed avanzando con cieca velocità verso i nostri tre amici.

“ Vi prenderemo! ”
“Non si scappa questa volta!”
“Venite, venite a giocaaareeee!” sibilavano innumerevoli voci nell'oscurità.

Iniziarono a correre con tutta l'energia che furono capaci di trovare nei loro corpi, alla cieca. Ogni passaggio sembrava identico al precedente, egualmente lungo e letale. Correvano, mentre lo sciabordio di quella tenebra viva si avvicinava sempre di più, sempre di più, con una determinazione assassina talmente intensa da poter quasi essere toccata con mano. Così intensa da stappar loro il respiro.

“Abbiamo fame questa notte! Tanta Fame!”
“Si, tanta, ma questa sera c'è un banchetto! Oh, si!”
“Eh! Già si vede raramente un simile alveare di succosa nequizia da mangiare!”
Le voci continuavano il loro folle interloquire in mezzo allo sciabordio delle tenebre ed alle urla spaventate delle loro prede.

D’improvviso la folle corsa di uno degli amici del principio si interruppe. Inciampò in qualcosa che non poteva vedere e cadde pesantemente. L’altro camerata si fermò per aiutarlo a rialzarsi ed aiutarlo a scappare. Aveva una caviglia slogata, anche con l’aiuto del suo amico era troppo lento. Erano entrambi troppo lenti.

“Ahhh! Dolci i frutti della terra!”
“Così morbidi e caldi!”
“Si e succosi, non dimenticarlo”.

Guardarono il loro amico, il loro leader, correre via da loro, abbandonarli, mentre sentivano le ombre ribollire alle loro spalle. Cercarono di affrettare il passo, ma l’oscurità fu più veloce e calò su di loro come un fulmine improvviso. Veloce come un falco in picchiata.

Il piccolo principe non pensò a nulla, continuò a correre. Non gliene importava un bel niente dei suoi camerati. “Meglio loro che me” pensava, sperando che quelle tenebre vive potessero saziarsi e lasciarlo andare. Continuò a pensare in questo modo ed a correre anche quando udì le urla stanzianti dei suoi ormai ex amici. Urla che rimbalzavano contro le pareti in ripetizioni infinite, mescolandosi oscenamente con le farneticazioni di quella misteriosa oscurità.

“Cori piccolo vigliacco! Corri!!”
“Aaaiuuuutaaaciii! Aaaaaaaaaahhhh!”
“Maggiore l'adrenalina, migliore il sapore!! Non lo sapevi?”
“Non lasciarci quiiiiiiiiiii!”
“Guardatelo! Guardatelo! Guardate quanto è debole! Ah!Ah!Ah!”
“No!No! Aiutaciiiiii!”


Le ombre lo deridevano mentre correva. Poteva sentire il respiro di quelle cose alle sue spalle, sulla pelle del collo, come la carezza di un angelo malato. Corse sulle ali della disperazione, con nelle orecchie gli echi delle urla dei suoi amici e lo sciacquio di quelle ombre senzienti, mentre ogni tanto qualcosa sfiorava la sua schiena spingendolo a correre più forte. Continuò a correre, pregando un dio assente e sperando di svegliarsi da quell'incubo. Implorando per una salvezza inesistente.
Alla fine giunse ad un vicolo cieco e dovette fermarsi con le spalle al muro. In un patetico tentativo di scacciare l’oscurità accese il suo accendino. Illudendosi che quella fioca luce tremolante potesse ricacciare le tenebre là da dov’erano venute.

“Dove fuggirai ora che il denaro non ti può più comprare la legge?”
“Dove scapperai ora che noi siamo la legge?”
“Sui dai, diccelo! “

Le ombre ribollenti si fermarono a pochi metri da lui sussurrando. Sembravano osservarlo, guardarlo dall’alto, mentre scivolava in terra chiedendo pietà e invocando Dio, come tante volte avevano fatto le sue prede.
Ad un certo punto iniziò ad intravedere qualcosa in quel nero ribollire, sagome vaghe, di cui solo il rosso bagliore degli occhi era chiaramente visibile. Un colore selvaggio, indomabile, il colore del fuoco delle antiche pire sacre. Questi frammenti di fiamma sembravano muoversi attorno con fluida, languida e deliberata lentezza, circondati da uno scuro involucro che si intuiva come solo vagamente antropomorfo. Lui non riusciva a vederli mai veramente bene, a capire cosa fossero. Nessun libro di vampiri, nessun film di fantasmi, nessun demone della bibbia, non somigliavano a niente che lui conoscesse. Erano sconosciuti che gli davano la caccia per motivi che lui non capiva. Che non voleva capire. Erano l'ultima corte di giudizio, là dove anche la pietà di Dio deve fermarsi e farsi spettatrice.
Le tenebre avanzarono con un sibilo, circondandolo da ogni lato.

“Dicci, bel bambino, ti piace la tua stessa medicina?”
“Lo trovi ancora così divertente, dilettante?”

Le tenebre si strinsero sempre di più ed alla fine, con un leggero scatto, furono su di lui. Il piccolo principe non riusciva a spiegarsi quello che sentiva. Aveva un freddo ed un caldo tremendo allo stesso tempo, sentiva come una specie di corrente lenta che si muoveva in cerchio attorno a lui, in una specie di danza misterica. Iniziò nuovamente a implorare, supplicare quelle cose perché lo lasciassero in pace, affinché non uccidessero un innocente. Piangeva.

“Tu stesso sei l'artefice della tua caduta.”
“Niente e nessuno ti ha condotto qui se non la tua fame”
“Dov'è il problema?”
“E' vero. Lo dicevi anche tu: gli esseri superiori dominano quelli inferiori!”
“Non avrai mica cambiato idea, ora?”


I bagliori di fuoco gli si fecero sotto; iniziarono a toccarlo lentamente, dolcemente. Gli si premettero addosso strusciandosi e gli chiusero gli occhi, mentre con dita agili facevano sparire i suoi vestiti. Con lentezza esasperante esplorarono ogni centimetro del suo corpo, sensualmente, con le mani e con la lingua. Lui era confuso, stordito, paralizzato, da quel cambio così repentino di atteggiamento. Mano a mano che quelle cose continuavano a toccarlo, scoprendo zone sensibili ignote persino a lui, il principino cominciò a rilassarsi. Era una sensazione eccitante ed ipnotica allo stesso tempo, come si dice lo fosse quella che dava il mangiare fiori di loto. Intossicante e travolgente. Lo stuzzicavano abilmente, lo sfioravano con mani d'angelo. Era come cadere lentamente verso il cielo, come annegare senza dolore.
Mentre stava raggiungendo il climax colpirono. Le unghie di quegli esseri penetrarono nella sua carne con ferocia, stappando la sua pelle brandello dopo brandello, brano dopo brano. Sentì i loro denti affondare, tirare e rigirare i brandelli per staccarli con più facilità. Un poco alla volta sempre più a fondo, senza fretta. Lì senti gettare alcuni brandelli delle sue cosce più in là, a qualcos'altro che vagava affamato e inquieto in quelle tenebre. Li sentì ridere e cantare mentre si bagnavano del suo sangue e masticavano la sua viva carne, affondando i loro visi nel suo corpo. Mentre usavano i suoi stessi fluidi per dipingere strani simboli sul suo corpo e si saziavano della sua carne. Sentì le loro mani penetrare in quella parte non materiale del suo essere, quella in cui non aveva mai veramente creduto. Li sentì iniziare a graffiare e staccare anche da lì, con una sensazione che era un’epifania di dolore e piacere mischiati. Li sentì iniziare a mangiare anche quello, il suo spirito. Anche lì strappavano con le mani e con i denti, ridendo.

“Sei stato una preda facile, così facile da non credersi.”
“Facile, ma saporito!”
Gli sussurravano nell'orecchio.

I bagliori di tenebre ridevano, mentre affondavano le mani in quel corpo caldo, spegnendone la vita, attingendo al suo rosso rubino nuova vita. Con la lenta ferocia di chi ha l'eternità a disposizione, mangiarono il piccolo umano che era stato condotto lì dalla sua stupidità. La voce del piccolo principe si spezzo poco prima che il suo cuore si fermasse. Non ci sarebbe stato ritorno per lui, le ombre non avrebbero permesso ad un essere così debole di tornare, cosi morsero, dilaniarono e strapparono fino a non lasciare più nulla della sua anima o del suo corpo. Continuarono a divorare fino a far sparire tutto.

Con un sorriso soddisfatto le tenebre andarono a dormire.






(*) Gli Screw Driver sono un gruppo ska di estrema destra.

3 commenti:

Francesco Sblendorio ha detto...

Oilà! Bentornata!

Anonimo ha detto...

E alla grande anche!

Shen

Dan ha detto...

Bello davvero, complimenti. Mi è piaciuto il racconto, hai saputo descrivere con grande efficacia lo stato d'animo del 'principino', le situazioni, i luoghi, e sopratutto il crescendo delle vie e viuzze che diventano vicoli e poi claustrofobico, irreale labirinto arcano. Bella anche la rappresentazione dell'ombra.

(P.S.: DRM Killer è stato messo in pausa?)